Adorazione Eucaristica Comunitaria
Giovedì 7 febbraio 2025
.

.
«Prendi il largo»
.
Canto di adorazione ed esposizione del SS. Sacramento
Cel. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen
Cel. Il Signore sia con voi
E con il tuo Spirito
Cel. Fratelli e sorelle, siamo davanti a Gesù eucarestia, …
Seduti
Tempo di silenzio
Cel. Preghiamo il Salmo 138 alternandoci tra solista e assemblea
[1] Di Davide.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
A te voglio cantare davanti agli angeli,
[2] mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome
per la tua fedeltà e la tua misericordia:
hai reso la tua promessa più grande di ogni fama.
[3] Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
[4] Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra
quando udranno le parole della tua bocca.
[5] Canteranno le vie del Signore,
perché grande è la gloria del Signore;
[6] eccelso è il Signore e guarda verso l’umile
ma al superbo volge lo sguardo da lontano.
[7] Se cammino in mezzo alla sventura
tu mi ridoni vita;
contro l’ira dei miei nemici stendi la mano
e la tua destra mi salva.
[8] Il Signore completerà per me l’opera sua.
Signore, la tua bontà dura per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.
Silenzio e possibile lettura personale
Sant’Atanasio (IV sec.) definiva il Salmo 138 (137) «il canto della chiamata universale» perché nel v. 4 si dice che «tutti i re della terra loderanno» il Signore, «quando udranno le parole della sua bocca». Questo è un inno di ringraziamento, il primo di un fascicolo di otto Salmi che l’antica tradizione giudaica aveva attribuito a Davide. In realtà, un’analisi più accurata di questi canti fa pensare a un’epoca posteriore, forse post-esilica. Ma non è escluso che si attinga a testi e materiali più antichi.
Così come si presenta, il Salmo 138 – dalle formule abbastanza comuni e tradizionali — si svolge in tre momenti. Si parte con un ringraziamento dell’orante (vv 1-3) che sta invocando il suo Signore nella cornice del santuario di Sion: «Mi prostro verso il tuo tempio santo» (v. 2). Ma non si può escludere che con questa espressione si voglia alludere all’uso dì pregare rivolti nella direzione del tempio gerosolimitano, pur risiedendo altrove, secondo un uso del tardo giudaismo, praticato poi dall’islam con l’orientamento verso la Mecca. Il salmista è certo che il “nome”, cioè la persona di Dio, e il suo hesed, ossia il suo amore fedele, non rimangono indifferenti di fronte all’invocazione del giusto;
Nel giorno del pericolo la supplica rivolta al Signore non finisce contro un cielo muto e sordo, ma riceve attenzione e si ripercuote nel cuore di Dio che risponde «accrescendo in me la forza» (v. 3), anche se l’originale ebraico dice letteralmente: «Tu hai agitato la forza nella mia anima». L’immagine è suggestiva: Dio entra nella vita di una persona con un’irruzione veemente che rende fervido l’intero essere del fedele. Sulla superficie grigia e monotona di una vita senza speranza e attraversata dalla prova, Dio irrompe dando forza e fiducia; imprimendo quasi un soprassalto di voglia di vivere.
Di fronte a questo inno di gratitudine il salmista nella seconda parte del suo canto immagina una sorta di reazione planetaria: tutti i re della terra si associano a lui in una lode universale in onore della grandezza e potenza sovrana di Jhwh (vv. 4-6). Ora, questa dimensione universalistica è una caratteristica della profezia post-esilica presente soprattutto nel Secondo Isaia, il profeta del ritorno di Israele dall’esilio babilonese (VI sec; Is 40-55). Ma la celebrazione che sale da tutta la terra al Signore non ha per tema solo la sua grande gloria e le sue “vie”, cioè i suoi progetti grandiosi. Egli è, sì, “eccelso” ma «guarda verso l’umile» con tenerezza e «al superbo volge lo sguardo da lontano», cioè dall’alto in basso e con disprezzo (v. 6). Si legge, infatti, nel Secondo Isaia: «Così dice l’Alto, l’Eccelso: io siedo come l’Eccelso e il Santo. Eppure sto con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi» (Is 57,15). Lo sguardo di Dio (cf Nm 6,25-26) è fonte di salvezza; volgere lo sguardo da lontano è per Dio un segno di reiezione e giudizio. Dio ha scelto, schierandosi dalla parte dei deboli e degli ultimi e lo comunica a tutti i re della terra.
Dopo questa apertura all’orizzonte mondiale, l’orante ritorna alla sua lode personale nel terzo movimento del Salmo (vv; 7-8). Con uno sguardo rivolto al futuro, egli implora un aiuto costante anche per le nuove angustie che investiranno la sua esistenza di domani. Le avversità sono concretizzate, secondo lo stile poetico semitico, nell’ira dei nemici” (v. 7). Ma il fedele non teme perché il Salvatore, è l’arbitro della storia e quando “stende la sua mano” nel gesto efficace della provvidenza, la salvezza è certa.
Il Salmo si chiude con un’ultima calorosa professione di fiducia nei confronti di Dio (v. 8), il quale darà compimento a quell’intervento liberatorio posto alla base del precedente ringraziamento. Egli «non abbandonerà l’opera delle sue mani»; che è sia la stessa creatura umana sia l’azione benefica che il Signore ha operato col suo hesed, la sua bontà amorosa nei confronti del giusto. Risuona, così, anche in finale il vocabolo classico dell’alleanza echeggiato già in apertura (v. 2).
Gianfranco Ravasi
VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5,1-11
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Silenzio e possibile lettura personale
Prendere il largo: è il tema di questa “Giornata del Seminario”. Potrebbe essere inopportuno e improprio parlare ancora di Seminario, visto che il nostro Seminario Minore non ha più ragazzi che
permangono in un cammino strutturato in ordine al Seminario maggiore e quindi al Sacerdozio.
Non possiamo, però, dimenticare e tralasciare il lavoro e l’impegno che ancora si mette in campo per continuare a seminare opportunità di incontro, protese ad aiutare ragazzi e giovani a riflettere
sul valore della vita come vocazione, come chiamata a una scelta responsabile che dia senso e significato all’esistenza.
“Prendi il largo” è l’invito che Gesù rivolge a Pietro nel vangelo di Luca. Esso giunge dopo
una fallimentare battuta di pesca notturna che aveva toccato Pietro e i suoi compagni. Le due
barche vuote sulla riva dicono tutto.
“Prendi il largo” giunge come un imperativo che ha dell’assurdo: se non si è pescato nulla
di notte non è immaginabile che questo accada con la luce del sole. Eppure “Prendi il largo” è una
parola che decide una svolta, una missione, un destino: quello del pescatore Simone, poi chiamato
Pietro da Gesù.
Anche per noi, in questo tempo non semplice, delicato e difficile, la tentazione di tirare i remi
in barca è nel cuore. Ma è proprio in questo tempo che ci viene lanciata una sfida, ricca di speranza:
aprire il cuore con fiducia all’inedito di Dio. È un invito che riguarda tutti, singoli e comunità, ragazzi, giovani e adulti.
Ci ritroviamo spesso a sperimentare uno stile di vita, per cui ciascuno si investe del ruolo di
arbitro assoluto delle proprie scelte: fa quello che si sente e che gratifica; decide il bene e il male.
Tutto ciò rende l’uomo un cane sciolto, apparentemente libero, ma in realtà senza sogni, utopie,
visoni audaci, senza la gioia di vivere davvero. Tristemente avvitato su sé stesso, come le barche
sulla riva, l’uomo si svuota e si arena, ormeggiato in un delirio di onnipotenza che lo sottrae alla
relazione con l’altro e con l’oltre.
Prendere il largo oggi più che mai è ridare fiducia alla relazione con Dio e con gli altri.
Rimettere al centro il valore della persona come elemento liberante del vivere, sciogliendo i legami
dell’egoismo e dell’individualismo.
La Giornata del Seminario torna a ricordarci questo attraverso la scelta di giovani in cammino
che stanno mettendo in gioco la loro vita per il Signore e i fratelli, nei Seminari maggiori di Molfetta e Posillipo; ma anche di giovani studenti delle superiori che hanno accettato la sfida di dare vita negli spazi del Seminario minore, in Bari, a giornate ricche di gioia condivisa, di riflessione e momenti di spiritualità: un’esperienza nuova che ha il sapore della fraternità e della novità.
Messaggio dell’Arcivescovo Giuseppe Satriano per la Giornata del Seminario dell’8 febbraio 2025
Riflessione del Celebrante
Silenzio
Preghiamo insieme la preghiera per le vocazioni
Preghiera per le Vocazioni
Signore Padre Santo, fonte della vita e origine di ogni Vocazione, Tu che hai chiamato il Tuo Figlio “amato e prediletto”, Tu che ti sei compiaciuto in Lui attraverso il dono dello Spirito Santo, vieni ancora incontro a noi e alla nostra umanità, facci sentire ogni giorno il Tuo amore e la Tua predilezione.
Ti affidiamo i nostri ragazzi e ragazze, i nostri giovani, perché si sentano costantemente amati da Te e chiamati ad una gioia più grande.
Ridesta in loro la speranza di un futuro che si apra alla novità e alla creatività.
Accendi in essi il desiderio di una Vita Bella e dona loro il coraggio di amare contro ogni delusione perché scoprano la bellezza di donare più che ricevere, di amare più che trattenere.
Fa che non si fermino di fronte alle fatiche e agli ostacoli della vita, ma queste diventino porte aperte verso una crescita e un futuro migliore.
Dona loro lo slancio e l’entusiasmo di seguirti come e dove Tu vuoi, perché le loro scelte profumino di Vangelo e diano linfa nuova alla società, alla Chiesa e al mondo intero.
Accompagnali con la Tua Paterna Benedizione, perché si sentano chiamati ed inviati ad annunciare con la loro vita, la bellezza e il fascino di essere tuoi discepoli.
Chiamali ancora Signore, perché sentano la Tua voce amica che non delude, ma che conduce sempre ai pascoli eterni.
Amen.
Benedizione e canto finale